La famosa accusa contra sextum fatta contro P. Tomislav Vlasic, per Laurentin era una bufala...

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        Laurentin
   Fonte                 P. Tomislav                  Dopo un'apparizione                 R. Laurentin                

 

4. LA PARROCCHIA NELLA TORMENTA

(luglio 1986) Ci si continua a chiedere come la parrocchia di Medjugorje possa funzionare così bene, come possa irradiare in condizioni impossibili nonostante qualche miglioramento di dettaglio.
Le suore, a lungo confinate in una piccola costruzione accostata alla canonica in cui nessuno penetrava perché non si vedesse quanto lo spazio fosse esiguo e come ci stessero ammucchiate, hanno potuto ricavare degli spazi nel campanile, per dormire in pace.
Il trasferimento del magazzino in una piccola costruzione vicina, ha permesso di recuperare una stanza nella canonica.
Assediata da folle, la parrocchia mantiene il buon ordine e la qualità della preghiera, con dei mezzi ridotti al minimo, se si eccettua la chiesa che provvidenzialmente era stata costruita troppo grande, anche se adesso è sempre troppo piccola.
Non sono mancati le sorprese e gli alti e bassi.
Da parte delle autorità civili e di polizia, si è instaurato un modus vivendi grazie alla perfetta disciplina dei pellegrini. Mai una polizia ha dovuto sorvegliare una folla più disciplinata e poi disposta a collaborare.
In questo clima, il 24 giugno 1986, fu apertamente comunicato che tutti erano invitati sulla collina per l'apparizione che Maria avrebbe avuto, la sera, nel quadro del suo gruppo di preghiera che si riunisce, di notte, una o due volte la settimana. La polizia l'ha certamente saputo ma non ha creato problemi.
Comunque un elicottero della polizia ha sorvolato la collina durante le apparizioni. Era un modo discreto per far capire: Noi ci siamo sempre. La legge dura ancora. Noi vediamo tutto. La polizia sapeva che se quella sera avesse proibito l'accesso alla collina avrebbe trovato la più perfetta disciplina.

Da Tomislav a Slavko...

I colpi sono stati più duri da parte del vescovado. Nel settembre 1985, dopo aver allontanato Tomislav Vlasic dalla parrocchia di Medjugorje, il vescovo ha trasferito Slavko Barbaric, che lo sostituiva come direttore spirituale. Tuttavia, egli aveva assunto la pesante successione in modo esemplare:
– Non si sostituisce Tomislav, era stato detto.
Slavko lo ha sostituito senza copiarlo, secondo le proprie risorse personali che erano diverse, all'ascolto del medesimo Dio e del medesimo popolo. Il compito, per diversi motivi, sfidava le forze umane. Doveva cumulare le sue nuove funzioni di direttore spirituale con l'accoglienza di una folla cosmopolita, in cinque lingue, che assorbiva già tutto il suo tempo, quando cooperava con Tomislav Vlasic. La sua presenza a Medjugorje fu subito minacciata per gli stessi motivi. Egli continuava il movimento di preghiera che il vescovo aveva deciso deliberatamente di «soffocare» (lettera del 25 marzo 1985, indirizzata alla parrocchia). Mons. Zanic quindi trasferì anche lui. Ne aveva già redatto l'ordine nel gennaio 1985. Ma il provinciale francescano di Mostar, in difficoltà di trovare un sostituto capace di parlare le lingue in modo tale da poter garantire il buon ordine, fece rimandare l'esecuzione per quasi nove mesi.
– Ho fatto le valigie, diceva Slavko. Sono pronto a partire appena arriva l'ordine.
Nel frattempo, egli assumeva, senza mezzi materiali né altro personale che quello della parrocchia, un compito la cui ampiezza è paragonabile a quella di Lourdes, dove più di cento persone permanenti assicurano i numerosi e necessari servizi. Slavko superò questo cumulo di difficoltà con la sola via possibile: preghiera e digiuni più stretti, a volte prolungati. Glie n'è venuto un volto emaciato. La sera spesso veniva trattenuto fino a tardi dai visitatori e dai problemi della parrocchia, e al mattino si alzava alle sei per pregare nella chiesa durante l'unico momento tranquillo della giornata.

...e a Ivan Dugandzic

Su parere del provinciale francescano, Mons. Zanic diede per successore Ivan Dugandzic. Era una buona scelta, per più motivi. Questo francescano godeva allora della fiducia del vescovo, che lo aveva nominato membro della prima e poi della seconda Commissione, nelle quali era uno dei teologi più stimati. La sua influenza equilibrata evitò false piste, fece progredire l'inchiesta sulla strada buona troppo trascurata: sulla storia e sui frutti delle apparizioni in particolare. Ivan Dugandzic era uno dei pochi membri della Commissione favorevoli alle apparizioni (4 su 13).
È anche un uomo spirituale. Fino a quel momento era responsabile della formazione dei giovani francescani. Intelligente, dotto, modesto, è dotato di buon senso, di serietà ed anche di coraggio, spiritualmente e pastoralmente. Non è un leader, né un oratore. Quelli che avevano questi talenti, il vescovo li ha tutti allontanati, in particolare Tomislav Vlasic e Jozo Zovko, l'ex parroco di Medjugorje, a lungo incarcerato a causa delle apparizioni. È loro proibito predicare in questa parrocchia, anche se ne hanno mantenuto il diritto in ogni altra parte, secondo il loro inattaccabile merito.
Ivan Dugandzic che parla poco le lingue straniere (tedesco e italiano, dove si va perfezionando di giorno in giorno) aveva chiesto a Slavko, nominato in una parrocchia distante una ventina di chilometri, di venire a dare una mano nell'accoglienza dei pellegrini stranieri. Ma un giovane francese, invitato dal vescovo, con la moglie, come avversario dichiarato delle apparizioni, venne a Medjugorje a dirgli: – Tu non dovresti stare qui, sei nella disobbedienza.
Poco dopo, il vescovo proibiva a Slavko di celebrare e predicare a Medjugorje.

Un'accusa

Il 28 novembre 1985, i tre sacerdoti della parrocchia, Ivan Duganzic, Tomislav Pervan e Pero vennero convocati dal vescovo di Mostar, con i tre veggenti presenti: Maria, Ivan e il giovane Jakov (allora di 14 anni), nonché suor Jania, responsabile della comunità delle suore di Medjugorje (oggi trasferita come vice-provinciale). Il vescovo annunciò loro quella che sembrava essere per lui una grande notizia: un francescano, in servizio in anni precedenti, nella parrocchia, avrebbe avuto nove anni prima, un figlio da una ex-suora francescana, emigrata da un anno in un paese vicino.
La denuncia mi è stata trasmessa dal cardinale X, precisava il vescovo con insistenza.
Questa faccenda è estranea alle apparizioni di Medjugorje. Risale a 5 anni prima. Che cosa c'entriamo noi con tutto questo? chiesero stupiti gli interlocutori.
Essi infatti conoscevano bene l'istruzione della Congregazione per la dottrina della fede in data 25 febbraio 1978, in materia di riconoscimento delle apparizioni, gli atti veramente immorali possono essere tenuti per segni negativi solo se sono stati commessi durante o in occasione delle apparizioni da coloro che vi si trovano implicati; non quelli che sono anteriori, posteriori o esterni alle apparizioni (Documento del 1978, I,B,d).

Il sospetto contro un uomo insospettabile non li stupiva di meno.
Nei giorni precedenti e seguenti, il vescovo diffuse la medesima accusa a molti visitatori, in particolare a dei medici venuti dall'Italia, e ad altri, i quali hanno notato il tono trionfante dell'accusa, come se questo fatto costituisse un argomento decisivo contro le apparizioni.
– È necessario che io o Medjugorje muoia, ritorceva il vescovo a coloro che si meravigliavano della sua veemenza.
La diceria, venuta da così alto, si diffuse con la velocità del fulmine, in Italia, in Francia e altrove. A Nizza aveva preso la strana forma seguente, sulla quale fui interpellato: «Pare che una delle veggenti abbia avuto un bambino con un francescano».
La disinformazione cronica su Medjugorje favorisce gli errori più assurdi. Per quanto miserabili siano questi pettegolezzi, una elementare sollecitudine per la verità invita a dissiparli.
L'accusa correva sottomano, da un anno, nelle alte sfere. Mons. Zanic l'aveva diffusa nella Conferenza episcopale jugoslava, poi a qualche confidente, da cui venni allora a saperla. Non conoscendo affatto l'accusato, quelle persone non sapevano che pensare, e presumevano la fondatezza dell'accusa, sulla fiducia del loro collega. Altri, conoscendo l'accusato, si ponevano però la domanda: la sua santità attuale è quella di un innocente o quella di un penitente?
In novembre, dopo aver ricevuto la denuncia scritta da Mons. O., Mons. Zanic lanciò apertamente l'accusa. La copriva con l'autorità di un cardinale romano che l'aveva solo trasmessa, per il fatto che il vecchio sembrava destinarla al vescovo del luogo, perché infierisse contro l'accusato.
Solo il 12 dicembre 1985 Mons. Zanic convocò quest'ultimo in presenza del suo provinciale, per dirgli in sostanza:
– Questa è l'accusa. Se voi riconoscete che la Vergine non appare e che siete stato voi a montare tutto, la faccenda si può sistemare.
Il sacerdote accusato, che il vescovo aveva già subissato di titoli ingiuriosi: malato di mente, mistificatore, manipolatore, ecc., rispose:
– La Madonna appare e io non posso dire il contrario. Quanto all'accusa, perché mi avvertite per ultimo e non per primo?
Dopo il 26 novembre, quelli che avevano udito l'accusa vennero a interrogare il presunto colpevole. Il quale però prese il partito di non rispondere:
– Sarebbe come affondare nella degradazione. La Vergine e la verità basteranno a difendermi.
Questo nobile atteggiamento non facilitava l'informazione ma i veggenti l'avevano confermato da lunga data in questa rinuncia a qualsiasi difesa. «Lasciate che vi difenda la Gospa», gli avevano detto.

Senza fare nessun nome, perché la madre del bambino ci tiene anche lei alla discrezione, mi limiterò all'essenziale. Lo faccio essendo in possesso del completo dossier della vicenda, che ho pazientemente raccolto.
È vero che una religiosa francescana croata, la cui presenza aveva fatto problema in tre conventi successivi, ebbe un figlio che nacque il 25 gennaio 1977; la religiosa fu dispensata dai voti. Il padre presunto del bambino lasciò l'ordine e partì per l'America, dove si è sposato dopo essere stato ridotto allo stato laicale. I francescani si preoccuparono umanamente di trovare alla donna una sistemazione decorosa. Un ottuagenario, che aveva appena perduto la sua sposa nel 1976, l'accolse in un paese vicino, in tutta umanità cristiana. La donna andò da lui come governante, per tenergli la casa. Quell'uomo dabbene non poté che felicitarsi dei suoi servigi, ed aveva delle relazioni tutte paterne con il bambino che lo chiamava Papi.
Era stato il 13 ottobre 1976 che un francescano aveva proposto questa soluzione, in un momento in cui la donna non aveva altra via d'uscita che partire per l'Australia. Essa resistette un momento a questo salvataggio, per dignità e per volontà di assumere la propria impossibile soluzione. Fece attendere la risposta e finalmente accettò solo dodici giorni dopo, il 25 ottobre seguente, alle ore 11.
Nel novembre 1984, Mons. Zanic, accompagnato da un interprete, venne a visitare questo vegliardo nonagenario, divenuto cieco. La conversazione attizzò i sospetti e gli scrupoli di quest'uomo. Egli li espresse infine in una lettera di tre pagine, in data 13-14 ottobre 1985, accompagnata da un rapporto dattiloscritto di sette pagine. Questi testi, alquanto confusi, il vegliardo li ha dettati, visto che è cieco. Egli inviò questi due testi a Roma con gli allegati dell'accusa: una lettera (non datata) che egli attribuiva alla ex-suora, e tre lettere dell'accusato che aveva intrattenuto una corrispondenza innocua con lei (auguri di Natale: 15 dicembre 1981, e risposta agli auguri di Pasqua: 15 marzo 1981 e 1982), perché era stato suo superiore, al tempo degli eventi denunciati, fatti di cui egli non fa parola, senza dubbio perché allora aveva ricevuto delle confessioni su questi argomenti.
La madre del bambino venne a sapere della denuncia solo a cose fatte, per le voci che correvano. Il 26 dicembre, inviò al vescovo di Mostar una decisa protesta:

La lettera che mi si attribuisce e che è stata inclusa nel dossier dell'accusa, non è mia, e coloro che la prendono in considerazione lo sanno, perché nella primavera scorsa (1985) io vi ho detto:
– Eccellenza, questa lettera non è mia: non è la mia scrittura [...]. Non ho detto a nessuno chi è il padre del mio bambino; è una faccenda privata mia, di cui non voglio parlare e non voglio che altri ne parlino.
Quanto all'anziano signore che ho servito e rispettato per nove anni, quando sono venuta a sapere che ha scritto a mia insaputa, contro di me, una simile falsità, la cosa mi ha tanto colpito che non ho potuto fare altro che lasciarlo immediatamente e abbandonare la sua casa. Tutto ciò che è stato fatto, è stato fatto a mia insaputa. I 95 anni del vecchio scusano la sua menzogna, ma com'è possibile che ci si fidi di lui?

Queste precisazioni necessarie, possano spegnere la diffamazione che la confusione perpetuava. Mi sono deciso a questa messa a punto dopo lunga esitazione. Ma non si finiva di interpellarmi su questa vicenda, in una confusione estrema e il silenzio pareva confermare la confessione di una colpa inconfessabile. La verità è l'unico mezzo per uscire da questa proliferazione di falsi rumori.
L'indomani del giorno in cui aveva fatto la sua accusa davanti ai rappresentanti della parrocchia, il vescovo di Mostar presentò lo stesso dossier alla Commissione, la quale rimase molto stupita e chiese come gli uditori del giorno prima:
– Perché questa comunicazione senza rapporto alcuno con le apparizioni che dobbiamo giudicare?



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