Prefazione

Nella giovane repubblica del Ruanda, dal 28 novembre 1981, hanno luogo delle apparizioni della Madonna, a Kibeho. Esse volgono al termine. Sono le prime apparizioni in Africa.
Costituisce forse un segno dei tempi il fatto che la Madonna, dopo numerose "visite" prodigate alla Francia e all'Europa occidentale, appaia nel Continente Nero e contemporaneamente nell'Europa orientale, a Medjugorje, agli inizi di questo nostro decennio 1980? È forse una lezione all'Occidente che si è fatto un dovere di reprimere le apparizioni, non solo limitandosi alla lodevole prudenza della Chiesa, ma facendosi forte di scelte secolarizzate e di preconcetti ipercritici, di ordine filosofico (razionalisti, idealisti, materialisti) o psicanalitico, che costituiscono una delle malattie del cristianesimo occidentale moderno?
Nessuna delle apparizioni di cui si è parlato da cinquant'anni in qua nei nostri paesi occidentali è stata riconosciuta. Le ultime approvate, Beauraing e Banneux, hanno già celebrato il loro cinquantesimo anno. Se negli anni '60 o '70 si fosse verificata una nuova Lourdes, abbiamo l'impressione che non sarebbe stata riconosciuta; dati i preconcetti, la mentalità e i metodi che imperavano. Mi rallegro di poter usare il passato, perché sembra che qualche cosa stia cambiando... Che questo cambiamento possa continuare nella moderazione, nell'equilibrio, senza eccessi. È fin troppo facile infatti passare da un estremo all'altro: dal rifiuto sistematico alla credulità illuminista.

In Africa, il vescovo del luogo, mons. Gahamanyi, ha agito secondo le regole della prudenza tradizionale e pastorale, in linea con una fede critica e aperta, senz'altro desiderio che di circondarsi di collaboratori competenti per formulare il suo giudizio, che egli non affretta assolutamente, limitandosi nel frattempo a guidare coraggiosamente e fruttuosamente le loro audaci missioni carismatiche.
Il suo atteggiamento esemplare ricorda quello di mons. Laurence, vescovo di Lourdes, nel 1858. La sua diligenza è stata ancor più sollecita. Egli ha cominciato a interessarsi delle apparizioni prima ancora che esse finiscano. Una commissione di teologi e di medici africani qualificati le ha osservate e studiate con una serietà esemplare, con tutta la dovuta attenzione critica propria del realismo cristiano, ma senza i pregiudizi riduttivi che dominano troppi europei: il loro atteggiamento critico è stato fraternamente accettato, in Ruanda, come uno stimolo per garantire la serietà della ricerca.
Padre Maindron, francese d'origine vandeana, autore di questo libro, era anch'egli imbevuto di questa deformazione tipica della nostra cultura religiosa europea. Aveva accolto le apparizioni con scetticismo; ne parlava con obiezioni categoriche e con un facile umorismo, facendo orecchi da mercante alle dichiarazioni dei fervorosi della prima ora. Ed ecco che il giovedì santo 1982 (festa del sacerdozio), una visitatrice viene casualmente a trovarlo, a più di 200 km. da Kibeho, accompagnata da Alphonsine Mumureke, una delle veggenti. Si sente messo in crisi da quella giovane sorella africana e va a Kibeho. I suoi ragionamenti e le sue obiezioni preconcetti svaniscono di fronte alla realtà.

I fatti stessi capovolsero la sua mentalità, senza annullare il suo spirito critico. Ciò che lì stava accadendo non rientrava negli schemi riduttivi in cui noi viviamo. Per poco che si percepiscano i veggenti, la loro trasparenza personale e i frutti comunitari, numerosi schemi socio-culturali e filosofico-psicologici non hanno più alcuna presa e vengono rimessi in questione.
Dio non è solo una lontana astrazione: «il Senso»1, come dicono gli adepti di una certa tendenza. Egli è un interlocutore che incontra l'uomo, da dopo Abramo, il nomade, scelto per la prima rivelazione, fino ai giorni nostri, passando attraverso l'incontro fondatore e totale di Gesù Cristo: Dio fatto Uomo, incarnato a misura d'uomo, nella Vergine Maria, per comunicarci in pienezza la sua vita divina. A questo, in padre Maindron, si aggiunge una nuova esperienza cristiana, che rimane per lui e per i suoi intimi il segreto di Dio. Padre Maindron non era certamente un prete mediocre. Egli ha incrementato in modo così esemplare lo sviluppo di una regione del Ruanda, di oltre 20.000 abitanti, che il presidente della repubblica ha voluto insignirlo personalmente della decorazione dell'Ordine Nazionale della Pace, con il grado di Ufficiale, il 5 luglio 1981. Poiché si trovava allora in Europa, la decorazione la ricevette, in suo nome, il vescovo: un segno questo dell'unità del presbiterio. Padre Maindron non ha rinnegato niente del suo servizio dei poveri e dello sviluppo. Ha trovato, anzi, nuove capacità, non solo fatte del dono di sé stesso, di abnegazione, di servizio, ma anche di preghiera e di carità profonda. La sua vita è ora più fruttuosa e costellata di piccoli segni quotidiani che il Signore dà generosamente a coloro che vivono realmente con lui senza mezze misure. – Non dicevo il rosario (che consideravo una devozione superata). Ora, tutte le mattine, recito il rosario e trovo il tempo per farlo, mi ha confessato, tra l'altro, padre Maindron.

Il resto è segreto di Dio: segreto che egli condivide con molti altri cristiani e preti ruandesi che hanno fatto un'esperienza analoga. Questa prefazione non ha il compito di raccontare né di valutare queste apparizioni quasi finite, ma non ancora riconosciute. Equivarrebbe a violare e svilire il rigoroso lavoro della commissione episcopale ruandese e ciò che qui è capitalizzato, in modo fedele e serio, da padre Maindron, con un lavoro nel quale il cuore e l'intuizione dominano continuamente la proposta di concomitanti argomenti scientifici. L'autore, che ha rigorosamente vagliato e verificato le sue fonti (indicate più avanti) non dimentica di essere il portavoce del messaggio d'amore che Maria, nostra sorella e nostra madre, insieme al Cristo, poiché appare anch'egli, propone ai suoi figlioli, dal continente africano.
L'autore di questa prefazione si limiterà a svolgere (da esperto di apparizioni: da Guadalupe e Lourdes a Pontmain, La Rue du Bac e Medjugorje) alcune impressioni immediate su questo bel lavoro di Chiesa, realista, intelligente e sensibile.
Sono apparizioni di una rara purezza. Il vescovo ha vigilato su di esse in modo esemplare. Ha saputo individuare alcune deviazioni marginali che sempre prolificano in questi casi, anche a Lourdes, dove ci fu, dall'aprile al luglio 1858, un'epidemia di visionarie mimetiche, progressivamente degradanti. Mons. Laurence mise, d'autorità, fine a simili deviazioni, l'11 luglio 1858, tre mesi dopo l'inizio dei disordini. A Kibeho, il vescovo ha saputo cogliere con giusta intuizione pastorale il contagio dei veggenti imitatori o di dubbia autenticità (come avvenne, ad un dato momento, a Lourdes, per Marie Courrech 2). Ha saputo ristabilire l'ordine con giudiziosa autorevolezza. Sette veggenti sono stati riconosciuti come seri. Un ottavo viene esaminato con prudenza.
A Kibeho, le apparizioni sono state accolte con purezza e abbondanza di frutti, in Dio, con un'accettazione esigente e critica da parte di tutti. Nessuno si è sognato di servirsene ai fini di dispute locali, come purtroppo alcuni hanno fatto a Medjugorje, non senza appannare in superficie, quell'ammirabile dono di Dio che resta intatto nonostante assurde interferenze.

Medjugorje e Kibeho: elementi convergenti
Se azzardiamo questo parallelismo, è perché esistono degli elementi di convergenza tra il fenomeno croato e quello ruandese africano. Sono sorprendentemente sincronici. Sono iniziati quasi simultaneamente, nel 1981 (24 giugno e 28 novembre) e costituiscono un messaggio urgente di pace, di conversione, di preghiera, di fruttuoso rinnovamento. Le apparizioni sono già terminate per una delle veggenti di Medjugorje: il che fa presagire un termine più o meno prossimo anche per gli altri.
I veggenti di Medjugorje e di Kibeho sono quasi in ugual numero (6 e 7), e sono quasi coetanei.
I frutti che dalle apparizioni derivano a tutta la comunità cristiana locale, nazionale e, un po' alla volta, continentale o mondiale, sono meravigliosi in ambedue i casi: conversioni, guarigioni... Tale convergenze non devono però essere esagerate. Se, come sempre avviene, i doni di Dio risvegliano il lato migliore di ogni persona, di ogni popolo, di ogni cultura e di ogni libertà, questo non porta tuttavia a risultati identici, come se venissero prodotti in serie, ma danno vita a sempre nuove creazioni di Dio nella libertà umana. Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur, ciò che è accolto, sempre è accolto a misura dì colui che riceve, come dice S. Tommaso d'Aquino. La Madonna è sempre la stessa, ma si adatta alle circostanze. Parla croato con i croati, ruandese con i ruandesi. Ispira loro gesti e parole diverse, secondo i loro doni, le loro capacità, la loro tradizione e le rispettive culture, senza contare le differenze gratuite, che sarebbe rischioso voler analizzare affrettatamente.
Questa diversità testimonia la libertà divina e quella umana.

A Medjugorje i veggenti costituiscono un gruppo organico, che la Vergine orienta e guida; essa forma personalmente ciascun veggente (rivelandogli i suoi difetti e stimolando le sue risorse personali), ma aiuta tutti a stimolarsi a vicenda, formandoli così anche come gruppo; questa è l'analisi di padre Slavko, sociologo francescano. Essi fanno corpo tra loro e con la parrocchia, e non senza merito, dal momento che sono molto diversi gli uni dagli altri e i più hanno un temperamento vivo, deciso, ricco di tutta l'energia tipica dei croati (Vicka, Mirjana, Jakov). Se la Madonna appare a ciascuno di loro, dovunque siano, soprattutto durante l'anno scolastico che li disperde, le apparizioni avvengono più spesso e abitualmente collettivamente. I veggenti si ritrovano spesso.
I veggenti di Kibeho, anch'essi formati dalla Madonna, vedono separatamente, a turno. Essi hanno un loro filo diretto con il cielo. Se tra di loro sembra esistere della coerenza, questa viene da più lontano, e non da circostanze sociologiche individuabili.

Le apparizioni di Medjugorje sono quotidiane, e brevissime: un minuto di media, nel 1984.
Le apparizioni di Kibeho sono distanziate nel tempo, ma lunghissime, secondo i ritmi della vita africana.
A Medjugorje le apparizioni sono discrete.
A Kibeho, sono pubbliche.
A Medjugorje, le apparizioni sono soltanto contemplative. I veggenti sono tagliati fuori dal mondo circostante e solo eccezionalmente entrano in dialogo con coloro che li circondano, quando essi insistono.
A Kibeho, i veggenti sono al centro della folla, spesso su un podio, all'aria aperta. Essi svolgono un ruolo mediatore per la folla, come fa un celebrante. Si rivolgono a tutti, in nome di Cristo o di Maria, anche durante l'apparizione, con parole e con gesti, secondo la capacità e la trasparenza proprie dell'Africa. Benedicono profeticamente la folla, in nome di Dio. Impongono personalmente le mani (quelli di Medjugorje lo fanno esclusivamente tramite i preti, e sotto la loro dipendenza, nel corso di cerimonie private di preghiera per i malati).

Solo un'anima meschina, che non tiene conto delle realtà umane e simboliche, potrebbe scandalizzarsi di questa importanza assunta dal ruolo profetico dei veggenti. Secondo la tradizione cristiana, ogni cristiano partecipa del sacerdozio di Cristo e, nel battesimo, riceve l'unzione del sacro crisma: l'olio che serve per l'ordinazione dei preti e la consacrazione dei vescovi. Il padre di famiglia (e talvolta la madre, anche se solo in caso di vedovanza) perpetuò a lungo nel tempo il sacerdozio patriarcale dei padri di famiglia, il solo esistente al tempo dei patriarchi, quando Abramo iniziò la religione del vero Dio rivelato al suo clan nomade, o quando Isacco benedì Giacobbe e Esaù. I genitori tracciavano un piccolo segno di croce sulla fronte dei loro figli, ogni sera, prima di coricarsi o prima di mettersi in viaggio. Gesti simili sono polivalenti, e il Rinnovamento carismatico ci ha insegnato a non confondere l'imposizione delle mani sacramentale, riservata ai preti, con i gesti impetratori dei fedeli che invocano una più vasta effusione dello Spirito, per vivificare l'opera di Dio nel cuore di ogni credente.

A Medjugorje, i veggenti in estasi rimangono molto naturali, sereni. A Kibeho, si trovano in uno stato che non è naturale e in modo molto accentuato.
A Medjugorje, alla fine dell'estasi, si rialzano con semplicità, con naturalezza. Ritornano, senza bisogno di passaggi, al mondo ordinario. Sono immediatamente in grado di rispondere alle domande, sono perfettamente a loro agio tra quelli che li circondano, prima di riprendere a pregare con il resto della gente.
A Kibeho, essi si accasciano o cadono distesi a terra, senza mai farsi del male. Hanno bisogno di un periodo assai lungo di passaggio (alcuni minuti) per ritornare alla vita normale e ricuperare la loro condizione di normalità.
Il fenomeno che ho osservato su video cassetta non è dissimile da quello che il Rinnovamento carismatico esperimenta come «riposo nello Spirito»: colui che prega si accascia o cade all'indietro in un totale rilassamento di corpo e di spirito che crea una profonda disponibilità al dono di Dio. È risaputo che il cardinal Suenens si è dichiarato contrario alla induzione o alla sistematizzazione di questo fenomeno spontaneo. Poco importa, perché il fenomeno africano è diverso anche se analogo. Esso sfugge a qualsiasi induzione o sistematizzazione. Non ha la stessa funzione. È una specie di periodo di transizione, riservato ai veggenti. Senza di esso diventerebbero, bruscamente, preda della folla, tra la quale si sono a lungo mossi, pregando per ciascuno, in base all'ispirazione o alla richiesta. Il fenomeno salvaguarda anche la tranquillità di cui il veggente ha bisogno per ritornare alla realtà e per poter usufruire di un periodo di impregnazione passiva e recettiva dopo la grazia ricevuta e il ministero attivamente celebrato.
Nel Rinnovamento carismatico, invece, si tratta spesso di un fenomeno che sopravviene come rottura con lo stato di tensione, di dissociazione febbrile proprio di molti di noi ai nostri giorni. Il fenomeno del «riposo nello Spirito» ha offerto la misura di sé stesso durante l'evangelizzazione svolta dalla povera comunità di Rick Thomas a Juarez (Messico)3 nelle prigioni e negli ospedali psichiatrici. Ai giovani delinquenti, ai pazzi tesi fino al parossismo, nelle loro camicie di forza, il «riposo nello Spirito» procura una distensione totale e offre la possibilità di un nuovo punto di partenza, nell'equilibrio e nella preghiera.
L'elemento comune è questo stato di abbandono, che è la traduzione fisica di voci passive, ben note ai mistici e che assume svariate forme e gradualità.
– I veggenti di Medjugorje si trovano in uno stato di pura contemplazione e di conversazione con la Madonna. Anche le loro voci scompaiono mentre parlano con lei, e riappaiono d'improvviso, contemporaneamente, quando si mettono a pregare con la Madonna. La loro voce sembra allora provenire da maggiori profondità e acquista una maggior pienezza.
– Gli africani hanno un comportamento gestuale molto espressivo a cui partecipa tutto il corpo, di fronte alla folla, a braccia aperte. Un'obiezione è stata mossa a queste prime apparizioni africane. Esse presenterebbero delle analogie con quelle che abbondano «nelle Chiese indipendenti e nelle sette o presso gli stessi animisti».
Bisogna proprio vedere in queste analogie una specie di peccato originale? Forse è meglio invece pensare che questo stile di apparizione risponde ad autentiche esigenze africane, e, per il fatto che si verificano nella Chiesa cattolica, esse trovano il loro pieno significato e il loro equilibrio qualora vengano accolte, come inducono a fare i seri elementi di autenticità studiati in modo esemplare dal vescovo e dalla commissione interdisciplinare da lui formata.

Kibeho non è una ripetizione di Guadalupe (Messico 1531): quell'apparizione della Madonna all'indio Juan Diego, nei pressi di un santuario di una dea india, sembrava aver talmente deviato dal cattolicesimo dei coloni spagnoli, che ci volle quasi un secolo prima che quel fenomeno profondamente cristiano venisse accolto. Oggi, quelle apparizioni vengono considerate come l'atto di nascita del cattolicesimo autoctono in America Latina. La Madonna può aver fatto suoi, nei due casi (Guadalupe e Kibeho), i simboli e le esigenze specifiche di un continente dove il cristianesimo non è penetrato che in data recente; con lo stesso spirito di adattamento parlava dialetto a Lourdes e portoghese a Fatima.
Ci rallegriamo che queste apparizioni siano così belle e così parlanti, così specificamente africane. La Madonna vi ha impresso lo stile proprio della cultura, della liturgia, della sensibilità e della vita comunitaria di quel popolo e di quel continente.
Le apparizioni di Kibeho sono un lieto annuncio per l'Africa, per la sua Chiesa, per l'africanizzazione, nel senso positivo del termine. Tutto ciò serve a riequilibrare, con gesti di origine divina e autoctona, le deviazioni dell'occidente, la cui secolarizzazione sistematica, la cui dimenticanza dell'essenziale a vantaggio delle tecniche e delle scienze umane, hanno in alcuni casi conquistato anche l'Africa.
Noi Chiese d'Europa abbiamo troppo spesso sostituito l'ispirazione con la tecnocrazia, lo sforzo spirituale con la facilità, l'amore cristiano, l'indispensabile ascesi e la croce, fonte indispensabile di qualsiasi gesto cristiano, con il desiderio freudiano. Non saranno le nostre ideologie e le nostre tecnocrazie a salvare la Chiesa d'Africa. La Madonna sembra volerne dare una conferma. Essa è venuta a svegliare le risorse e le potenzialità africane, non dall'esterno, ideologicamente e artificialmente, ma dall'interno, come vuole il Vangelo, con una richiesta esigente e non facile: conversione, preghiera, castità esigente, carità, premura per i poveri, e tutto il resto. Ecco quanto ci viene dai mistici di Kibeho, come ben racconta padre Maindron.
Questo prete, di origine europea, si è fatto molto autenticamente africano con l'umiltà che deve avere un sacerdote straniero, chiamato al servizio in un continente non suo. Quando egli sentì il richiamo dell'Africa, durante il suo servizio militare in Algeria, entrò in seminario, proprio in Ruanda. Fu ordinato in Africa. Ne ha assimilato lingua e costumi. Spera di ottenere un giorno la nazionalità ruandese – se i suoi fratelli lo riterranno degno e le circostanze lo permetteranno – per consacrare ciò che egli è ormai già diventato: come Paolo, greco con i greci, cittadino romano con i romani. La sua testimonianza, come quella di Daniel Ange (anche lui per lungo tempo missionario in Ruanda e conoscitore della lingua), sono una luce per me. Anche quest'ultimo è stato alla scuola dell'Africa e proprio del Ruanda. Kibeho, come Medjugorje, non è un messaggio africano particolaristico, nonostante le sue forme africane. Ci sembra che abbia una dimensione mondiale, nonostante l'isolamento di un piccolo popolo che non ha sbocco sul mare. L'universale umano e cristiano non può esistere se non radicato nel particolare.

L'Africa non ha la vocazione alla siccità. Essa ama l'acqua. L'Africa vive come un segno di morte il dramma della siccità che devasta il Sahel e altre regioni. Essa comprende il linguaggio dell'acqua presente in tutta la Bibbia. Essa ama i grandi fiumi: il Nilo, che ha la sua sorgente in Ruanda, il Congo, il Niger che si arricchiscono degradando giù dalle montagne, dai vulcani e dalle colline, per fertilizzare le pianure africane. La grazia che in modo così esemplare sgorga a Kibeho può fertilizzare, anche al di là dell'Africa, i nostri ambienti aridi, quasi morti nel loro indurimento e.nella loro inveterata secolarizzazione.
La grazia di Kibeho è un segno, con altri, un appello del cielo, o meglio un richiamo che Dio c'è, ci ama, rispettando sempre la nostra libertà. Egli sa la follia di questo mondo che prepara allegramente la sua autodistruzione, abbandonandosi tranquillamente al peccato, contando soltanto sui miracoli della sua tecnica per venirne fuori. L'impasse derivante da questa follia è palese e la distruzione da essa seminata è fin troppo evidente. Come Medjugorje, Kibeho ci insegna che il rimedio si trova nell'intimo, individualmente e collettivamente, e che la promessa di Dio non è affatto spenta. Fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal Signore in noi stessi, se noi sapremo accoglierLo. Questo fiume, è lo Spirito Santo (Gv 7, 37-39). In Maria cominciò a sgorgare per dare Cristo al mondo. Il Cristo non è ancora pienamente dato al mondo. Il fiume d'acqua viva è più necessario che mai.

René Laurentin

1 C'è 'un senso', quindi l'indizio di una trascendenza astratta. Il Senso diventa per quei teologi nome pudico e impersonale di Dio. Questa rappresentazione, scoraggiante e debilitante se ad essa ci si ferma, arriva a volte fino alla catechesi.
2 Su questa epidemia di visionari, a Lourdes, cfr. Laurentin, Lourdes. Documents authentiques, Lethielleux, Parigi 1957, II, pp. 57-60 e 106-108.
3 R. Laurentin, Miracle à Et Paso?, DDB, Parigi 1981, pp. 148-152, [trad. italiana Miracolo a El Paso?, 1985].