Don Tanzella-Nitti: "Sarebbe sbagliato affidare a un incontro ravvicinato il compito di dirci se Dio esiste"

Redazione



sabato 17 maggio 2008


"Il potente tema degli alieni che agiscono da condotto per risalire alla Causa Prima, che compaia nella narrativa o in una teoria cosmologica intesa seriamente, tocca corde profonde della psiche umana… La ricerca degli alieni può quindi essere vista come parte di una ricerca religiosa che è sempre esistita, oltre che parte di un progetto scientifico. Questo non dovrebbe sorprenderci. La scienza è nata dalla teologia, e tutti gli scienziati, siano essi atei o teisti, e che credano o meno all'esistenza di esseri alieni, accettano una visione del mondo essenzialmente teologica". Così scriveva il noto cosmologo e divulgatore Paul Davies nel suo Siamo soli? Implicazioni filosofiche della scoperta della vita extraterrestre (Laterza, 1994), esprimendo la convinzione che nella ricerca di vita extraterrestre sia presente un'implicita dimensione religiosa. È inevitabile quindi che quando si riaccende, per motivi scientifici, il dibattito sulla ricerca di E.T. venga subito chiamata in causa la teologia e si cerchi di capire se esistano e quali siano le posizioni ufficiali delle Chiese, in particolare della Chiesa Cattolica, sull’argomento.
L’implicazione religiosa però è un po’ più sottile: prima ancora di verificare se esistono incompatibilità tra l’esistenza di intelligenze extraterrestri e la rivelazione, si tratta di cogliere il senso profondo di quella ricerca e la vera aspettativa insita nell’evento straordinario di un eventuale “incontro ravvicinato”. È l’attesa di un rapporto privilegiato e totalmente nuovo con qualcuno che rappresenta evidentemente un’alterità; un rapporto nel quale giocare le domande più antiche e i desideri di sempre che gravitano attorno al nostro rapporto col “totalmente Altro”. Come osserva don Giuseppe Tanzella-Nitti, uno dei teologici che, anche in forza del suo passato di astrofisico, ha più analizzato i risvolti culturali del problema: “La presenza di vita oltre i confini della Terra costituisce un inevitabile luogo di confluenza ove si riversano in modo talvolta inconscio, altre volte esplicito, i grandi temi dell'antropologia, della filosofia e della religione”.
Tanzella è anche deciso nel dichiarare che non esistono argomenti pregiudiziali da parte della dottrina cattolica contro l’esistenza degli extraterresti. «Anche perché si tratterebbe di qualcosa di legato a eventi fattuali, a specifici avvenimenti; per poter reagire e trarre delle conclusioni bisogna perciò attendere che i fatti si manifestino e si sviluppino secondo la loro logica propria, bisogna vedere che aspetto prendono e quali dati ci mettono a disposizione».

Ma ci sono posizioni ufficiali da parte della Chiesa sull’argomento?

Proprio perché non esistono argomenti pregiudiziali, non ci sono neppure posizioni ufficiali. Mi sembra di poter interpretare la tradizione teologica dicendo che c’è una posizione classica, che vede l’essere umano come unico essere intelligente nell’universo: è in fondo la posizione più accreditata o comunque quella sulla quale si è orientata la maggior parte degli autori. Ciò non esclude che, trattandosi di eventi fattuali, dipendenti da ciò che potrebbe avvenire in natura e che ancora non sappiamo, tale posizione possa essere sostituite da nuove interpretazioni, alle quali prima non si pensava.
Potremmo dire che la posizione ufficiale è quella di attesa.
È interessante in questo senso un’analogia che si può fare con la storia della fisica, dove alle soluzioni classiche sono seguite, agli inizi del secolo scorso, la teorie quantistica e la relatività di Einstein. Queste hanno indubbiamente cambiato lo schema di riferimento e i paradigmi con i quali si leggono i fenomeni naturali, almeno a certi livelli e in certe condizioni. Tuttavia le formulazioni classiche non hanno cessato di valere: semplicemente sono diventate casi particolari delle nuove e più ampie teorie e hanno comunque conservato la loro dose di verità, ma all’interno di un quadro che si è ampliato.
Potrebbe probabilmente accadere la stessa cosa per gli extraterresti. Se la posizione che ho chiamato classica dovesse rivelarsi insufficiente, non per questo perderebbero di validità la nostre conoscenze su ciò che Dio ci ha rivelato, sulla nostra fede in un Dio Creatore, in un Dio personale, provvidente, Trinitario, che si è incarnato in un uomo che è morto e risorto. Tutto ciò andrebbe riletto all’interno di una prospettiva più ampia.
Attenzione però: non possiamo ancora affermarlo, bisogna che lo dicano gli eventi …

Quali sono i principali problemi che si porrebbero se scoprissimo l’esistenza di intelligenze aliene?

Vorrei dire anzitutto che non ci sarebbero solo problemi ma anche aperture di orizzonte, di possibilità. A prima vista uno potrebbe sentirsi schiacciato di fronte a evidenze di quel tipo e lasciarsi intimorire dai tanti interrogativi che sorgono; ad esempio circa l’incarnazione: perché Dio si è fatto uomo proprio sul nostro Pianeta? Oppure circa la storia della salvezza: è riproducibile in altre parti del cosmo? Sono domande che hanno innegabilmente un certo grado di problematicità. Ma racchiudono anche una buona dose di possibilità: attraverso un evento come l’incontro con E.T: si dischiuderebbero tutta una serie di informazione, di dati, di conoscenze di cui ora non disponiamo; e ciò non può che essere visto come un arricchimento, una potenzialità per tutti.
Voglio anche sottolineare che esistono problemi veri e problemi falsi. Un falso problema ad esempio deriverebbe dall’affidare a un incontro con esseri extraterrestri il compito di dimostrarci se esista Dio o chi sia Dio. Per capire che è un falso problema basta considerare come ci siamo comportati male noi terrestri a questo proposito. Se infatti possiamo affermare che sulla Terra la maggior parte dei popoli condivide l’affermazione che esista un Dio Creatore dell’universo, ben diversa è l’impressione che abbiamo dato “all’esterno”. Abbiamo inviato alcuni messaggi nel cosmo: sia via radio (ricordo i due minuti di trasmissione dal radiotelescopio di Arecibo negli anni settanta), sia incisi nelle placche metalliche affidate alle sonde che si sono spinte oltre i confini del nostro sistema solare. Ebbene, in questi messaggi non c’era nessuna indicazione della nostra credenza in un Dio Creatore e un’eventuale civiltà extraterrestre che li intercettasse sarebbe autorizzata a dedurre che qui siamo tutti atei. Allo stesso modo quindi sarebbe poco ragionevole affidare a un contatto cosmico tutto l’onere della prova dell’esistenza di Dio e del suo interessamento per noi.

La posizione da lei indicata come classica, che contempla l’unicità del genere umano, è bollata da alcuni come anti-scientifica e come indice di chiusura. Cosa ne pensa?

Non condivido simili giudizi. Antiscientifico è ciò che contraddice l’evidenza, che si pone in contrasto con i dati sperimentali, che non regge al confronto con la realtà; ma attualmente non c’è nessun dato sperimentale, non abbiamo nessuna evidenza che esista vita intelligente oltre quella che conosciamo qui sulla Terra. Dobbiamo anche dire, in verità, che non abbiamo ancora neppure evidenza che esistano semplici forme di vita nate in ambienti cosmici diversi dal nostro.
Quindi mi sembra fuori luogo qualificare come antiscientifico chi si limita ad attenersi a ciò che accade.
Quanto alla chiusura, anche qui il riferimento sono i fatti: sarebbe sciocco sostenere priori che un fatto non possa mai verificarsi, negare per principio una possibilità. Da questo punto di vista la teologia cristiana non può certo essere considerata chiusa.
Peraltro l’interpretazione teologica classica prima menzionata è quella che, in assenza di dati contrari, spiega meglio tutta una serie di contenuti tipici della rivelazione cristiana, come la nostra storia di salvezza, il dono di Dio che si fa uomo per noi, la continuità della sua presenza tra noi.
Lo stimolo che ci viene dal dibattito sull’esistenza di intelligenze extraterrestri è un invito a restare aperti alle infinite possibilità dello Spirito, quindi alle infinite possibilità di dono e di rivelazione di Dio.
In un primo momento questo ci può spiazzare, ma ci sospinge verso orizzonti più ampi. E obbliga noi teologi a lavorare un po’ di più.

a cura di Mario Gargantini