LA LEGGENDA DELL'ANNO MILLE
Secondo essa,
all'avvicinarsi di tale anno, la società cristiana
si sentì pervasa dal terrore della fine del mondo
e della conseguente comparsa di Gesù Cristo
giudice, annunziata per la notte di S. Silvestro del 999.
Per questo il popolo angosciato, trascurando le cose
della terra, accorse alle chiese e ai conventi ad offrire
i propri beni e tesori per ottenere il perdono delle
proprie colpe. Donde la favolose ricchezze della Chiesa,
che si vide accresciuto il potere e la supremazia sul
mondo. Passato il terrore, all'apparire dell'alba del
1° gennaio del 1000, lo stesso popolo, sfuggito alla
morte, si diede a fabbricare cattedrali, chiese e
conventi. La leggenda fece la sua prima comparsa verso la
fine del sec. XVI, a 700 anni di distanza dai supposti
avvenimenti, il che basterebbe di già a renderne
sospetta la veridicità. Di essa si impadronirono
scrittori anticlericali, arricchendola a gara di
circostanze romantiche e melodrammatiche, in omaggio al
pregiudizio, assai radicato, di un medioevo denso di
tenebre, di ignoranza e di disordine. Primo a diffonderla
ampiamente fu W. Robertson nella prefazione alla sua
"History of the reign of the emperor Charles V" (Londra
1769), a cui fecero eco, a gara, J. Michelet, J. C.
Sismondi, C. Flammarion, H. Martin, V. Duruy, J. F.
Michaud, P. L. Cinguené, F. Gregorovius e da noi
G. Carducci, che con essa inizia i discorsi "Dello
svolgimento della letteratura nazionale" ("Opere", ed.
naz., VII, Bologna I935, pp. 3-5). Con meno fervore di
descrizioni la leggenda è tuttavia ammessa da
moltissimi altri storici moderni, p. es., T. Dandolo, C.
Cantù (cf. l'abbondante elenco in P. Orsi [v.
bibl.], pp. 3-5).
La leggenda, invece, è priva di ogni fondamento
storico; il che viene provato da argomenti negativi e
positivi. E' vero che dalla credenza ebraica di un
Messia, re temporale, dalla falsa interpretazione
dell'Apocalisse (20, 1-7), i cui simboli venivano
spiegati come un segno di mille anni, attraverso
l'eretico Cerinto e alle teorie di S. Ireneo e di
Tertulliano, questa opinione erronea trovò qua e
là qualche risonanza; ma dal sec. V in poi, non si
discorre più del nostro millenarismo, che era pure
già stato confutato da S. Gerolamo e S. Agostino.
Anche certo è che non mancarono frasi dei Padri
della Chiesa e di predicatori, che accennavano
all'Anticristo prossimo o già esistente,
dimenticando il detto di Gesù: "del giorno e
dell'ora (della fine del mondo) nessuno sa, neppure gli
angeli del cielo, ma solo il Padre" (Mt. 24, 35). Ma si
trattò di costruzioni fantastiche od esaltate, non
di opinione diffusa ed efficace a incutere ampio e
profondo terrore. D'altra parte, se veramente nel sec. X
si fosse aspettata la fine del mondo per il 1000, se ne
troverebbe qualche accenno negli scrittori contemporanei
o degli anni di poco posteriori. Invece nulla se ne dice
nelle 150 bolle dei Papi, dell'ultimo trentennio,
né nei 20 concili tenuti nell'ultimo decennio
anteriore alla data fatale, né dagli storici.
Non mancano inoltre le prove positive contrarie alla
leggenda. Un predicatore, p. es., della fine del sec. X
annunziò in una chiesa di Parigi la comparsa, dopo
il Mille, dell'Anticristo e, poco dopo, l'avvenimento del
Giudizio universale; ma Abbone di Fleury, presente, lo
redarguì sul posto, come attesta egli stesso, "cui
praedicationi et Evangeliis ac Apocalypsi et libro
Danielis, qua potui virtute, restiti" ("Apologeticum": PL
139, 47I). Lo stesso Abbone ebbe pure l'incarico di
confutare la voce che la fine del mondo sarebbe avvenuta,
quando la festa della Annunciazione concidesse con il
Giovedì Santo, e rassicurò i Lotaringi
"quibus abbas meus me respondere iussit" che tale
coincidenza avveniva due o tre volte in ogni secolo
(ibid., 472). D'altra parte il Concilio di Roma del 998
impone al re di Francia, Roberto il Pio, sette anni di
penitenza; Silvestro II succede a Gregorio V nell'aprile
del 999 e al 31 dicembre dello stesso anno conferma i
privilegi già concessi al monastero di Fulda e
alla Chiesa di Reims (Jaffé-Wattenbach,
1907-1908); i Veneziani si impadroniscono dell'Istria e
della Dalmazia nel 998-99 e nello stesso tempo Stefano di
Ungheria chiede al Papa il titolo di re e la corona
regale (1000). Nel 990 a Puv, nel 1000 a Poitiers i
Concili determinano i regolamenti, per gli anni seguenti,
della Tregua e Pace di Dio. In breve, immediatamente
prima dell'anno 1000 la vita in Europa si svolge
tranquillamente e suppone che la società
proseguirà ancora lungo tempo dopo questa
scadenza.
Gli argomenti recati dagli scrittori favorevoli alla
leggenda non offrono alcuna prova: negli atti del
Concilio di Trosly, si parla della prossima fine del
mondo, ma quel Concilio è del 909
(Hefele-Leclercq, IV, 722 sgg.). Il cronista Rodolfo il
Glabro parla di un grande fervore di costruzioni di
chiese; ma ciò non si dovette allo scampato
pericolo dell'anno 1000, bensì al timore della
fine del mondo, provocato dalle piogge, dalla carestia e
dalla fame così terribile, che si mangiavano i
cadaveri; senza dire che egli parla di molte altre
chiese, sorte poco prima del Mille. ("Historiarum", 1.
III, cap. 4: PL 142, 651; 1. IV cap. 4: ibid., 475).
W. Godelle, anch'egli cronista, accenna ad una credenza
sulla vicina fine del mondo; ma l'accenno riguarda il
1010, quando l'atterramento della basilica del S.
Sepolcro scosse fortemente gli animi del mondo cattolico
("Recueil des historiens des Gaules et de la France", X,
2a ed., Parigi I868, p. 242 sgg.).
La frase poi, che si ritrova in molti documenti di
donazioni alle chiese e ai conventi, nel sec. X
"appropinquante fine mundi" non viene adoperata in
Germania e quasi mai in Italia, molto invece in Francia;
però la si trova fin dal 534 e diventa più
comune in seguito; il che significa trattarsi di una
semplice formola, come presso gli italiani quella: "pro
remedio animae meae", e la si trova, infatti, in
formulari di uso comune (cf. Orsi [v. bibl.], pp.
35-36).
Restano le frequenti allusioni di scrittori e predicatori
alla fine del mondo, ma ciò dimostra soltanto lo
scopo esortativo a tenersi pronti a quel gran giorno, in
cui tutti dovranno rendere conto delle loro azioni
dinanzi al mondo, il che fu ed è credenza basata
sulla Fede.
Celestino Testore
Bibliografia:
- F. Plaine, "Les prétendues terreurs de l'an
mille", in "Rev. des quest. histor.", 13 (1873, I), pp. I
145-64
- J. Ray. "L'an mille. Formation de la légende de
l'an mille", Parigi 1885
- P. Orsi, "L'anno mille", in "Riv. storica italiana", 4
(l887), pp. 1-55
- F. Duval, "Les terreurs de l'an mille", Parigi 1908
- G. Kurth, "Mille", (l'an), in DFC, III, coll.
514-16
- F. Olgiati, "Mille e non più mille", in "Vita e
pensiero", 34 (1951), pp. 310-14.
[En. Cattolica]