Il Cardinal Biffi e Vescovi emiliani su
realtà Islamica
I quindici vescovi dell'Emilia Romagna istruiscono i fedeli
sul tema e firmano il seguente documento.
La crescente presenza di musulmani nelle nostre terre ci induce
ad annoverare tra i temi non trascurabili della nostra vita
ecclesiale anche l'attenzione consapevole alla realtà
islamica: un'attenzione serena e il più possibile
oggettiva, che non può ridursi alla sollecitudine operativa
di assistenza e di aiuto.
I discepoli di Gesù avvertiranno sempre come un impegno
doveroso l'azione concreta di carità - ovviamente a misura
delle proprie effettive disponibilità - verso ogni essere
umano che si trovi nel bisogno e nella pena. Ma, particolarmente
quando si tratta di musulmani, pastoralmente questo non basta.
Occorre che ci si preoccupi anche e preliminarmente di acquisire
una conoscenza non epidermica dell'Islam, sia nei suoi contenuti
dottrinali sia nelle sue intenzionalità e nelle sue regole
comportamentali.
Veramente, prima della nostra opportunità di conoscere le
convinzioni, gli usi, la mentalità dei nuovi arrivati,
c'è il dovere morale dei nuovi arrivati di conoscere le
convinzioni, gli usi, la mentalità della popolazione nella
quale essi chiedono di inserirsi. A essi va chiesto che si
accostino con rispetto e con animo aperto al nostro mondo, come si
conviene a chi arriva non in una landa deserta e selvaggia ma in
una cultura millenaria e in una civiltà di prestigio grande
e universalmente riconosciuto. In caso contrario, potrebbero a
giusto titolo essere accusati di quell'insensibilità e di
quell'arroganza verso il paese ospitante, che da più parti
sono state rimproverate a un certo tipo di colonialismo del
passato.
Maometto compare sulla scena ben sei secoli dopo che - con la
venuta dell'Unigenito del Padre, Gesù Cristo - il lungo
discorso di Dio agli uomini, cominciato con Abramo, arriva al suo
definitivo compimento e l'iniziativa salvifica del Creatore
raggiunge il suo culmine.
Egli, riconosciuto dai suoi discepoli come "messaggero di Dio" e
destinatario dell'elargizione del Corano, si avvale nella sua
predicazione di quanto della Rivelazione ebraico-cristiana aveva
potuto conoscere e capire. La sua voce ha il merito, in un
contesto dominato dal politeismo, di proclamare con grande energia
l'unicità e l'assoluto incontrastabile dominio
dell'onnipotente Signore e Autore di tutte le cose.
Il fascino dell'Islamismo per larga parte stava appunto
nell'evidente superiorità di questa proposta religiosa,
estremamente semplificata, su ogni culto idolatrico.
Questo spiega i casi di "conversione" all'Islam che avvengono oggi
tra i cristiani. Nei nostri contemporanei ci sono molti "adoratori
di idoli". Il vuoto di verità e di senso, insito in molta
parte della mentalità scettica così diffusa in
Europa, è vantaggiosamente riempito da una religione che
chiede solo un atto di fede in Dio, e sembra non possedere dogmi,
misteri, strutture gerarchiche, riti sacramentali. Si intuisce
come quest'ultima connotazione possa incontrarsi con le
pregiudiziali laicistiche presenti nell'animo di molti nostri
connazionali.
Proprio questa povertà spirituale di molti uomini del
nostro tempo costituisce la premessa perché si guardi
all'Islam come a una plausibile alternativa all'assurdo e alla
mancanza di speranza che insidiano una società che ha
smarrito ogni riferimento certo e trascendente.
Ma per chi è veramente cristiano, per chi si è
donato al Signore Gesù con tutto il suo essere, per chi ha
assaporato la gioia di appartenere alla santa Chiesa cattolica,
per chi sa di essere destinato a partecipare al destino di gloria
del Crocifisso Risorto e a entrare nell'intimità della
Trinità augustissima, per chi ha accolto come norma
totalizzante del suo agire la legge evangelica dell'amore, quella
di farsi musulmano è l'ultima e la più improbabile
delle tentazioni che gli possono capitare.
E non già perché il Cristianesimo sia una religione
migliore dell'Islamismo: è semplicemente imparagonabile.
È imparagonabile perché non è soltanto una
religione, ma è un fatto coinvolgente e deificante; non
è soltanto una comunicazione di idee, un insieme di
precetti, una pratica rituale: è una totale trasfigurazione
della realtà umana che progressivamente si assimila a
Cristo, colui nel quale "abita corporalmente tutta la pienezza
della divinità" (Col 2,9) ed è il compendio di ogni
verità, di ogni giustizia, di ogni bellezza.
Si capisce allora come non possa nascere in noi nessuna paura
dell'Islam e non si dia nessuna ansietà per una sua
"concorrenza religiosa". Le nostre preoccupazioni sono invece per
quelli tra noi che sventuratamente non conoscono più il
"dono di Dio" e così sono esposti a tutte le disavventure
esistenziali.
I nostri fratelli di fede e di ministero, che vivono in paesi a
maggioranza musulmana, ci mettono in guardia da un errore di
prospettiva, che potrebbe falsare totalmente il nostro giudizio:
non ci si deve limitare a un approccio puramente culturale
dell'Islam.
Noi dobbiamo ascoltare con interesse quanto ci dicono gli studiosi
del movimento islamico nella sua origine, nella sua storia, nella
sua dottrina, nella ricchezza culturale che è fiorita tra
le genti musulmane. Ma dobbiamo ascoltare anche chi conosce e
testimonia, per esperienza diretta, il comportamento dei musulmani
(dove la loro volontà è determinante) nei confronti
degli altri, la loro durezza nell'esigere che ci si adegui alle
loro norme di vita, la loro sostanziale intolleranza religiosa
quale è ampiamente documentabile per molti paesi, le loro
intenzioni di conquista (delle quali del resto non fanno nessun
mistero).
Ai nostri politici vorremmo ricordare il problema della
"diversità" islamica nei confronti del nostro
irrinunciabile modo di convivenza civile.
Essi non possono lasciare senza risposta pertinente gli
interrogativi che tutti gli italiani di buon senso si fanno: come
si pensa di far coesistere il diritto familiare islamico, la
concezione della donna, la poligamia, l'identificazione della
religione con la politica - tutte cose dalle quali i musulmani non
recedono, se non dove non hanno ancora la forza di affermarle e di
imporle - con i princìpi e le regole che ispirano e
governano la nostra civiltà?
Ed è solo un parziale e piccolo elenco delle
incompatibilità con le quali bisognerà fare i conti.
Ci rendiamo ben conto della difficoltà dell'impresa: chi ha
il compito statutario di sciogliere questi nodi ha tutta la nostra
comprensione e l'aiuto della nostra preghiera.
Bologna, 27 novembre 2000
Gli arcivescovi e i vescovi dell'Emilia Romagna